Archivio annuale 2008

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Edgar Allan Poe – Annabel Lee

Or son molti e molti anni
che in un regno in riva al mare
viveva una fanciulla che col nome
chiamerete di Annabel Lee:
e viveva questa fanciulla con non altro pensiero
che d’amarmi e d’essere amata da me.
Io ero un bimbo e lei una bimba,
in questo regno in riva al mare;
ma ci amavamo d’un amore ch’era più che amore-
io e la mia Annabel Lee –
d’un amore che gli alati serafini in cielo
invidiavano a lei ed a me.
E fu per questo che –oh, molto tempo fa-
in questo regno in riva al mare
un vento soffiò da una nube, raggelando
la mia bella Annabel Lee;
così che vennero i suoi nobili parenti
e la portarono da me lontano
per rinchiuderla in un sepolcro
in questo regno in riva al mare.
Gli angeli, non così felici in cielo come noi,
a lei e a me portarono invidia –
oh sì! E fu per questo ( e tutti ben lo sanno
in questo regno in riva al mare)
che quel vento irruppe una notte dalla nube
raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee.
Ma molto era più forte il nostro amore
che l’amor d’altri di noi più grandi-
che l’amor d’altri di noi più savi-
e né gli angeli lassù nel cielo
né i demoni dentro il profondo mare
mai potran separare la mia anima dall’anima
della bella Annabel Lee:-
giacché mai raggia la luna che non mi porti sogni
della bella Annabel Lee;
e mai stella si leva ch’io non senta i fulgenti occhi
della bella Annabel Lee:-
e così, nelle notti, al fianco io giaccio
del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa,
nel suo sepolcro lì in riva al mare,
nella sua tomba in riva al risonante mare.

Edgar Allan Poe

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Fiat voluntas tua

La locuzione latina Fiat voluntas tua, tradotta letteralmente, significa sia fatta la tua volontà. È tratta dal Vangelo secondo Matteo: 6,10.

È una delle richieste della preghiera del Padre Nostro, con la quale il fedele manifesta l’obbedienza alla volontà di Dio.

La locuzione, nel linguaggio parlato, si usa per indicare le occasioni in cui bisogna trangugiare qualche boccone amaro.

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Per aspera sic itur ad astra

Per aspera sic itur ad astra: frase latina, dal significato letterale: «attraverso le asperità alle stelle» e senso traslato «il successo si ottiene solo con la fatica». (Seneca, Hercules furens atto II v. 437)

Questa frase si usa per sottolineare che non è affatto semplice arrivare al successo, e la strada che porta ad esso è irta di ostacoli. La sua origine deriva probabilmente dalla mitologia greca, in cui gli eroi – Ercole in primis – alla loro morte venivano portati sull’Olimpo; ma essere eroi implicava appunto avere compiuto una serie di imprese faticose.
Ogni ambizioso traguardo richiede sacrifici, e quanto più un’impresa si presenta difficoltosa, tanto maggiore è la soddisfazione nel riuscire a portarla felicemente a termine.

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Pecunia non olet

Pecunia non olet significa letteralmente «Il denaro non puzza»

La leggenda vuole questa frase attribuita a Vespasiano, a cui il figlio Tito aveva rimproverato di avere messo una tassa sui servizi igienici pubblici, denominati da allora vespasiani, dalla quale provenivano cospicue entrate per l’erario. Nota: All’epoca,le urine servivano per estrarre l’ammoniaca usata per la concia delle pelli. È una frase che viene cinicamente usata per indicare che, qualunque sia la sua provenienza, il denaro è sempre denaro.

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Salomone – Ecclesiaste 1:1-18


17 E davo il mio cuore a conoscere la sapienza e a conoscere la pazzia, e ho conosciuto la stoltezza, che anche questo è un correr dietro al vento.
18 Poiché nell’abbondanza della sapienza c’è abbondanza di vessazione, così che chi accresce la conoscenza accresce il dolore.

Salomone

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Mosca, 1961

Le sei del mattino.
Ho aperto la porta del giorno ci sono entrato
ho assaporato
l’azzurro nuovo nelle finestre
le rughe della mia fronte di ieri
sono rimaste sullo specchio

sulla mia nuca una voce di donna
tenera peluria di pesca
e le notizie del mio paese alla radio

vorrei correre d’albero in albero
nel frutteto delle ore

verrà il tramonto, mia rosa
e ad di là della notte
mi aspetterà
spero
il sapore di un nuovo azzurro.

Nazim Hikmet

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Jacques Prévert

La notte caccia il giorno che scaccia la notte
E il branco dei giorni senza fine urla alla vita.

Jacques Prévert

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Isabel Allende

“Gli afrodisiaci sono il ponte gettato tra gola e lussuria. Immagino che, in un mondo perfetto, qualsiasi alimento naturale, sano, fresco, di bell’aspetto, leggero e saporito – vale a dire, dotato di quelle caratteristiche che si cercano in un partner – sarebbe afrodisiaco, ma la realtà è ben più complessa.”

Isabel Allende – 1998 Afrodita

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Charles Bukowski

L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando gli sei vicino.

Charles Bukowski

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Martin Luther King

“Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”

Martin Luther King

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Epicureismo

Epicuro ritiene che la filosofia debba diventare lo strumento, il mezzo, teorico e pratico, per raggiungere la felicità liberandosi da ogni passione irrequieta.

“Se non fossimo turbati dal pensiero delle cose celesti e della morte e dal non conoscere i limiti dei dolori e dei desideri, non avremmo bisogno della scienza della natura”.

Propone quindi un “tetrafarmaco”, capace di liberare l’uomo dalle sue quattro paure fondamentali:

Paura degli dei e della vita dopo la morte:
– Gli dei non si interessano degli uomini

Paura della morte:
– Quando noi ci siamo ella non c’è, quando lei c’è noi non ci siamo

Mancanza del piacere:
– Esso è facilmente raggiungibile

Dolore fisico:
– Se è acuto è momentaneo o morirai, se è leggero è sopportabile

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Bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita di un uomo d’intelletto sia sua opera. La superiorità vera e propria è tutta qui.

G. d’Annunzio

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Non sono né un artista né un poeta.
Ho trascorso i miei giorni scrivendo e dipingendo,
ma non sono in sintonia
con i miei giorni e le mie notti.
Sono una nube,
una nube che si confonde con gli oggetti,
ma ad essi mai si unisce.
Sono una nube,
e nella nube è la mia solitudine,
la mia fame e la mia sete.
La calamità è che la nube, la mia realtà,
anela di udire qualcunaltro che dica:
“Non sei solo in questo mondo
ma siamo due, insieme,
e io so chi sei tu”.

Kahlil Gibran

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La maja desnuda

Questa tela viene dipinta per il ministro Godoy assieme alla Maja vestita, in modo che una si sovrapponga e copra l’altra. Sistemate nel gabinetto privato del ministro, fanno parte di una collezione di nudi femminili che comprende oltre a una copia da Tiziano anche la Venere allo specchio di Velázquez, dono della duchessa d’Alba. Per lungo tempo si è pensato che la donna raffigurata da Goya fosse appunto l’avvenente duchessa, mentre rappresenta verosimilmente Pepita Tudo, la giovane amante di Godoy. Se l’opera di Tiziano esercita una notevole suggestione su Goya, questi rinuncia a ogni tipo di idealizzazione: la maja offre allo spettatore con orgogliosa naturalezza il proprio corpo, mostrandone con semplicità tutti i seducenti dettagli anatomici. A causa della prorompente sensualità, l’opera verrà giudicata oscena e quindi confiscata. Si salverà rimanendo nascosta nei depositi dell’Accademia di San Fernando fino al suo ingresso al Museo del Prado nel 1901.

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Walt Disney

“…puoi sognare, creare, progettare e costruire il più bel luogo del mondo…ma per trasformare un sogno in realtà ti servono le persone…”

Walt Disney

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Sergei Vasilyevich Rachmaninoff

L’uno Aprile del 1873 venne al mondo Sergei Vasilyevich Rachmaninoff nato nella proprietà della famiglia in Oneg nella campagna di Novgorod , i suoi genitori erano Lubov Boutakov e Vasily Rachmaninoff (un ex-ufficiale dell’esercito russo). Aveva due sorelle più grandi, Elena e Sophia e un fratello più grande Vladimir. Due altri bambini stavano per raggiungere la famiglia di Rachmaninoff ,una bambina di nome Varvara e un ragazzo di nome Arkady, ma Varvara morì appena nata.

La musica era parte della tradizione della famiglia di Rachmaninoff , e sia il padre che il nonno di Rachmaninoff avevano suonato il piano. Alexander Siloti, il cugino di Rachmaninoff era già un pianista famoso e stava diventando molto conosciuto dal periodo in cui era nato Rachmaninoff. All’età di sei anni, Rachmaninoff ebbe la prima lezione di piano con Anna Ornatsky dal conservatorio di San Pietroburgo. Impressionata dalla naturale abilità di Rachmaninoff al piano, Anna lo raccomandò per una borsa di studio al conservatorio di San Pietroburgo nel 1881.

Dall’eta di nove anni lui iniziò formalmente le lezioni al conservatorio. Dopo qualche anno,iniziò ad andare male in tutte le materie infatti lui marinava la scuola per andare a giocare e saltare da un tram all’altro. Suo padre intanto aveva disperso tutto il patrimonio della famiglia lasciando Lubov e i bambini con niente in mano. Senza soldi, e con la minaccia chesuo figlio poteva essere espulso dal conservatorio, Lubov chiese aiuto ad Alexander Siloti. Si decise che Rachmaninoff avrebbe potuto continuare a studiare al conservatorio e , in poco tempo, andò a Mosca , per diventare un allievo di Nikolai Zverev.

Nikolai era conosciuto sia come insegnante che come disciplinare e i suoi duri piani giornalieri di lunghe sessioni di pratica, in poco tempo videro Rachmaninoff diventare più calmo e concentrato. Le dure serate musicali alla quali parteciparono molti dei musicisti russi erano combinati con il duro regime. Presso Zverev era ospite Tchaikovsky, con cui Rachmaninoff subito strinse una forte rellazione ed ebbe un’influenza importantissima sui suoi anni irrisoluti.

Il conservatorio di Mosca offrì la sua prima introduzione come compositore. Sotto le direttive di Sergei Taneyev e Anton Arensky ottenne una forte conoscenza del contrappunto e dell’armonia, e iniziò a scrivere le sue composizioni. Di queste, le migliori sono il “tone poem” Prince Rostslav e il suo Primo Concerto per Piano, ma scrisse anche alcuni pezzi per piano solista e alcune canzoni.

La sua nuova necessità di comporre sconvolse Zverev che vedeva questo come uno spreco del suo talento sulla tastiera. I due non giunsero mai ad un accordo e Rachmaninoff si trasferi nella classe di suo cugino, Alexander Siloti. Dopo Siloti decise di abbandonare il conservatorio, e chiese di fare il suo esame finale un anno prima. Dimostrando una grandissima abilità al piano si laureò nel 1891, un anno prima del previsto. Andò avanti per laurearsi in composizione un anno più tardi. Protò un opera intitolata Aleko per il suo esame che scrisse il quindici giorni e ottenne il masimo presso Great Gold Medal. In poco tempo , dopo la laurea, scrisse il Preludio in Do Diesis Minore. Preludio al quale rimase attaccato in modo indissolubile per tutta la vita.

Karl Gutheil si avvicinò a Rachmaninoff che stava cercando nuove composizioni da pubblicare. Sergei vendette una manciata di composizioni, inclusa la sua opera Aleko. E fu’ proprio a Gutheil che vendette il Preludio in Do Diesis Minore. Sfortunatamente lui non protesse mai con il copyright internazionale il suo Preludio, una mossa atipica per un compositore più maturo. Come risultato lui guadagno u totale di quaranta rubbi per uno dei pezzi per piano più noti di questo secolo. Gutheil rimase l’editore di Rachmaninoff fino alla sua morte nel 1914. Presso il suo nuovo ediotre e uno studente sotto la sua guida, Rachmaninoff andò avanti con la sua vita.

Diventando sempre più noto per tutto il globo a causa delle sue composizioni, le sie esecuzioni e le sue opere, attrasse l’attenzione dei giornalisti. Uno in particolare il critico francese Cesar Cui, che in una occasione visitò Rachmaninoff a Ivanokva, la sua proprietà a 510 Km a sud-est di Mosca. Durante la visita, Cui compose una corta melodia che fece sentire a Rachmaninoff. Col passare del giorno, lui chiese al grande pianista se la sua melodia aveva una qualche qualità e questa domanda Sergei rispose “No”. La sua decisione di non illudere il critico si risolse in un continuo scrivere, di Cui,di riviste critiche nei confornti delle performance di Rachmaninoff

Nel Gennaio 1895 iniziò a pensare al suo primo lavoro orchestrale maggiore, la sua Prima Sinfonia. La composizione dell’opera prese otto mesi e fu’ finito verso la fine di Agosto a Ivanokva. C’erano altri 18 mesi prima che l’opera fosse data in prima rappresentazione a San Pietroburgo, cinque giorni prima del ventiquattresimo compleanno di Rachmaninoff. La rappresentazione fu’ un disastro a il giovane Sergei era distrutto.Glazunov aveva condotto la rappresentazione e Sergei andò e disse “Sono sorpreso che un uomo di un così grande talento [Glazunov] possa condurre così male”. Un gossip dell’epoca vuole che Glazunov consusse quando era ubriaco, ma questo non fu’ mai confermato. Ma ciò era possibile da un uomo che nascondeva bottiglie di liquore dietro alla cattedra durante le sue lezioni al conservatorio di San Pietroburgo e lo beveva di nascosto attraverso una cannuccia ( queste notizie le abbiamo da Schostakovich che era statao un suo allievo)

A Rachmaninoff mancava la fiducia di comporre qualcosa dopo il disastro della sua Prima Sinfonia. Gli anni seguenti alla rappresentazione non furono senza attività musicale infatti lui ottenne una posizione importante conducendo per un teatro privato di Mosca, portato avanti da Savva Mamontov. Qui lui condusse rappresentazioni di Gluck, Serov, del Carme di Bizet e Queen of Spades di Tchaikovsky. Il suo talento come conduttore era riconosciuto da tutti, e come conduttore fece la sua prima entrata a Londra nel 1899. Eseguì la sua fantasia per orchestra The Rock, così come suono il suo Preludio in C Diesis minore e l’elegia dalla stessa Opus.

La composizione era ciò che ora era difficile per Rachmaninoff. Molti dei suoi amici provarono ad aiutarlo a ritrovare il suo desiderio di comporre, e uno di questi fissò per lui un incontro con una sua vecchia conoscenza, Lev Tolstoy. Durante l’incontro Sergei suonò a Tolstoy alcuni dei suoi pezzi. Tolstoy si girò verso Rachmaninoff e disse:”Dimmi, le persone hanno bisogno di musica come questa?”. Poi andò a trovare Dr. Nikolai Dahl che si era specializzato in ipno-terapia. C’è un’ipotesi secondo la quale Rachmaninoff fu’ ipnotizzato per riottenere la sua fiducia, ma è più probabile che lui parlo semplicemente con Dahl di musica e arte. Queste conversazioni e i suoi amici più stretti diedero certamente a Rachmaninoff una pace interiore.

Più decso di prima, riprese a comporre. Iniziò scrivendo idee per il Secondo Concerto nel 1900, e lo introdusse nell’Ottobre del 1901. Continuò a scrivere musica e scrisse più opere in questo periodo, di quante ne avesse scritte durante tutta la sua vita – la Seconda Sinfonia, il Terzo Conceto e parti del quarto, tre opere Aleko, Il cavaliere avaro, Francesca da Rimini, le maggiori opere vocali inclusi The Bells e the All-night Vigil , le sonate per piano, il ripensamento del suo Preludio per piano e oltre settanta canzoni. La sua carriera era al massimo del successo come compositore in Russia, essendosi creato un nome a Londra, Leeds e New york (dove introdusse il terzo concerto per piano). Si considero per primo come un compositore e poi come pianista, e nel 1917 era così che il mondo intero lo vedeva.

Dopo la rivoluzione di Ottobre del 1917, Rachmaninoff trovò l’atmosfera in Russia insopportabie, e in quel periodo scrisse:”Ogni cosa intorno mi rende impossibile lavorare e ho paura di diventare apatetico”. Virtualmente senza danaro e con la consapevolezza che la proprietà della sua famiglia era stata demolita dai rivoluzionari Rachmaninoff e la sua famiglia decisero di lasciare i tumulti della Russia. Con un piccolo repertorio che consisteva delle sue opere e alcune di Chopin, Listz e Tchaikovsky, accettò offerte per esibirsi in qualsiasi luogo. Passo i successivi 25 anni ampliando il suo repertorio e facendo la vita del pianista internazionale. Un risultato diretto del movimento verso Ovest fu’ che lui compose pochissimo a causa dei suoi continui impegni

Rachmaninoff morì a Beverly Hills il 28 Marzo del 1943.

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Jacques de La Palice

Si dice lapalissiano di ciò che appare immediatamente ovvio e scontato, ed è quindi del tutto inutile affermare. L’aggettivo deriva dal nome del maresciallo Jacques de La Palice ma, contrariamente a quanto comunemente si crede, non perché avesse l’abitudine di dire ovvietà.

L’aggettivo indica qualcosa che è talmente evidente, stanti le sue premesse logiche, da risultare ovvio e scontato, se non addirittura ridicolo per la sua ovvietà. La storia di quest’aggettivo è piuttosto curiosa.

Jacques II de Chabannes, contrariamente a ciò che si potrebbe credere, non fu l’autore di alcuna frase ovvia e scontata (lapalissiana). In effetti il nome deriva da una canzone intonata dagli sconfitti di Pavia (1525) il cui proposito era quello di rimpiangere il coraggio del loro comandante che in quella battaglia aveva trovato la morte.

Jacques II de Chabannes, signore di La Palice, morì durante un assedio alla città di Pavia nel 1525. Si narra che i suoi soldati, nell’illustrare il coraggio dell’amato comandante in una cantica, compissero una scelta infelice. Essi intendevano cantare (nel francese dell’epoca):

“Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
farebbe ancora invidia.”

Sfortunatamente, per assonanza o per l’ambiguità grafica tra s e f (che all’epoca si scrivevano in modo simile), la strofa divenne:

“Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
sarebbe ancora in vita.”

Dove evidentemente l’affermazione “se non fosse morto sarebbe ancora in vita” è un’ovvietà: appunto, un’affermazione lapalissiana.

Il fraintendimento sarebbe nato dal fatto che i due caratteri s ed ƒ nella scrittura del tempo, e soprattutto a stampa, differivano solo per il trattino centrale, mentre la spaziatura fra lettere e parole era spesso incerta: la frase il ferait encore envie sarebbe stata dunque letta e trascritta, ad un certo momento, come il serait encore en vie, dando origine all’equivoco e alla sfumatura di ovvietà un po’ surreale della canzone.

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Fa che il tempo dell’amore scorra come un fiume calmo che ha modo di riempire l’alveo in tutti gli anfratti.

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Carlo Emilio Gadda

Nato a Milano il 14 novembre 1893 – al n.3 [o 10?] di via Manzoni, terzo piano -, fece a Milano tutti i suoi studi fino a quelli di ingegneria. La famiglia era agiata, ma dovette guadagnarsi da vivere: il padre, Francesco Ippolito Gadda, era un industriale, ridotto in precarie condizioni economiche a causa di investimenti sbagliati (nella coltivazione del baco da seta) e delle velleità borghesi (il mantenimento di una villa in Brianza); la madre di Carlo Emilio si chiamava Adele Lehr e proveniva da una famiglia di origini ungheresi: è lei a indirizzarlo verso l’ingegneria.
Combattente nella prima guerra mondiale negli alpini (sottotenente), fu fatto prigioniero. Nel 1918 muore il fratello Enrico, aviatore, abbattuto a pochi mesi dalla fine della guerra. Aveva 21 anni. Nel 1920 consegue la laurea in ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Milano.
Negli anni ’20 fece l’ingegnere, in Italia e all’estero: Argentina, Germania. Nel 1931 torna in Italia e diventa sovrintendente alla costruzione della centrale elettrica del Vaticano. Scrive all’amico Silvio Guarnieri il 5 febbraio 1932: «Finché farò l’ingegnere sarò un bruto e nient’altro che un bruto: l’ingegnere si può paragonare a un bue sotto tutti gli aspetti. E’ l’essere ineccitabile per eccellenza, si mantiene calmo, sereno. Non gli viene neanche in mente che ci sia nella vita qualcos’altro dopo gli olii lubrificanti della Vacuum […]». Si trasferì a Milano, poi nel 1940 quando lascia la professione di ingegnere e si stabilisce a Firenze dove risiedette quasi ininterrottamente fino al 1950.
Visse a Roma, dove lavorò per il terzo programma radiofonico della RAI, presso cui era stato assunto come giornalista praticante, fino al 1955.
E’ morto a Roma nel 1973.

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“Finché farò l’ingegnere sarò un bruto e nient’altro che un bruto: l’ingegnere si può paragonare a un bue sotto tutti gli aspetti. E’ l’essere ineccitabile per eccellenza, si mantiene calmo, sereno. Non gli viene neanche in mente che ci sia nella vita qualcos’altro dopo gli olii lubrificanti della Vacuum […]”

Carlo Emilio Gadda

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Ho vissuto molto o poco?
Mi è impossibile dirlo.
Camminando sono caduto col viso a terra
ho perso qualche cosa nella polvere.
Ero albero, ero mare.
I miei usignoli erano in gabbia, non lo sapevo,
i miei pesci erano nella rete.
E così, mia rosa,
la tristezza, come una pietra bianca che lava la pioggia.
E così, mia rosa,
scrivo quel che mi attraversa
e nessuno legge, nessuno ascolta…

Nazim Hikmet

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Persone mai incontrate, storie chiuse e non vissute…mi perdo in questo mare di solitudine.

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L’istante occupa uno stretto spazio
tra la speranza e il rimpianto
ed e’ lo spazio della vita.

Marcel Jouhandeau

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Non avremo mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione.

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La leggenda del pianista sull’oceano

Tutta quella città… non se ne vedeva la fine…
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
E il rumore.
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema.
Col mio cappello blu.
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino…
Primo gradino, secondo gradino.
Non è quel che vidi che mi fermò.
È quel che non vidi.
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne.
C’era tutto.
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare.
Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu.
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni e miliardi
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita.
Se quella tastiera è infinita non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una.
A scegliere una donna.
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di.
Morire.
Tutto quel mondo.
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce.
E quanto ce n’è.
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra…quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò.
Lasciatemi tornare indietro.
Per favore.

Danny Boodman T.D. Lemon Novecento

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La leggenda del pianista sull’oceano

Non sei fregato veramente
finchè hai da parte una buona storia,
e qualcuno a cui raccontarla

Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento

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Farò della mia anima

Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene. 
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l’eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.

Kahlil Gibran

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E sto abbracciato a te

E sto abbracciato a te 
senza chiederti nulla, per timore 
che non sia vero 
che tu vivi e mi ami. 
E sto abbracciato a te 
senza guardare e senza toccarti. 
Non debba mai scoprire 
con domande, con carezze, 
quella solitudine immensa 
d’amarti solo io.

Pedro Salinas

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Ti si sta vedendo l’altra…

Ti si sta vedendo l’altra.
Somiglia a te:
i passi, la stessa fronte aggrondata,
gli stessi tacchi alti
tutti macchiati di stelle.
Quando andrete per strada
insieme, tutte e due,
che difficile sapere
chi sei, chi non sei tu!
Così uguali ormai, che sarà
impossibile continuare a vivere
così, essendo tanto uguali.
E siccome tu sei la fragile,
quella che appena esiste, tenerissima,
sei tu a dover morire.
Tu lascerai che ti uccida,
che continui a vivere lei,
la falsa tu, menzognera,
ma a te così somigliante
che nessuno ricorderà
tranne me, ciò che eri.
E verrè un giorno
-perché verrà, sì, verrà-
in cui guardandomi negli occhi
tu vedrai
che penso a lei e che la amo
e vedrai che non sei tu.

Pedro Salinas

Se te está viendo la otra.
Se parece a ti:
los pasos, el mismo ceño,
los mismos tacones altos
todos manchados de estrellas.
Cuando vayáis por la calle
juntas, las dos,
¡qué difícil el saber
quién eres, quién no eres tú!
Tan iguales ya, que sea
imposible vivir más
así, siendo tan iguales.
Y como tú eres la frágil,
la apenas siendo, tiernísima,
tú tienes que ser la muerta.
Tú dejarás que te mate,
que siga viviendo ella,
embustera, falsa tú,
pero tan igual a ti
que nadie se acordará
sino yo de los que eras.
Y vendrá un día
-porque vendrá, sí, vendrá-
en que al mirarme a los ojos
tú veas
que pienso en ella y la quiero:
tú veas que no eres tú.

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Caos calmo

“la gente pensa a noi infinitamente meno di quanto crediamo”

Sandro Veronesi